Va all’esame della camera la legge delega di riforma del terzo settore. Si tratta di una opportunità troppo importante che va colta senza mediazioni al ribasso, evitando che si impantani in beghe ideologiche o passi indietro che non coglierebbero il peso di un mondo che conta 300.000 soggetti, circa un milione di addetti tra dipendenti e collaboratori retribuiti, cinque milioni di volontari, il 4,3% del Pil. Dunque una realtà viva ed anche economicamente rilevante. Su questo aspetto occorre chiarire che la rappresentazione che si è fatta del terzo settore da parte di alcuni ambienti come ammasso dei destinatari di fondi, sovvenzioni pubbliche a appalti, dunque spazio principe di corruzione, clientelismo, voto di scambio o altre disgrazie simili è del tutto falsa e fuorviante. Certo non si può negare che problemi ci siano, come dimostrano alcuni fatti di questi giorni, ma il terzo settore vero, quello di cui il MCL si sente parte attiva e primaria, rifiuta tale strumentale rappresentazione. Per quanto ci riguarda siamo i primi a volere una chiara distinzione tra enti veri o falsi, cioè quelli che strumentalmente si annidano nelle pieghe dell’attuale frammentaria e disarticolata legislazione coprendo attività non sempre lecite. Chiediamo che i decreti che verranno emessi in forza della delega permettano di separare il buono dal marcio, il non profit dal mero profitto, ciò che è buono per tutti e ciò che serve all’interesse personale di pochi.
Inoltre, è vero che la percentuale di Pil dimostra un’ampia capacità di produzione economica che unita alla sorprendente portata innovativa sono sicuramente punti di forza per lo sviluppo e per un contributo determinante all’uscita dalla crisi, ma il terzo settore è anche (se son soprattutto) fitta rete di coesione sociale che è straordinariamente importante in momenti di difficoltà come questi, educazione alla partecipazione, stimolo alla cittadinanza attiva, costruzione di capitale sociale, chiamata di tutti alla responsabilità, partecipazione alla faticosa realizzazione del bene comune che ora sfugge ai più, impegnati nella difesa dei singoli minuti interessi o del piccolo e parziale orticello. Sono tutte attività che non sono misurabili dal Pil ma che impattano fortemente con la vita reale ed il benessere di una società. Stupisce che nel dibattito delle settimane scorse sia ritornata la vecchia e stantia diarchia mercato/Stato pretendendo di assegnare a questi ogni spazio di azione come se non esistesse altro e non ci fossero, invece, una realtà ed una vivacità tipiche della società civile che non è né Stato né mercato ma che spesso svolge un ruolo “pubblico”, sempre più frequentemente di supplenza a carenze, disorganizzazioni, incapacità di dare risposte ai problemi reali delle persone. Il riconoscimento di tale missione, salvo l’affermazione di principio dell’art. 1, sembra in ombra nella bozza di delega che è più sbilanciata sull’aspetto economico così come debole è la previsione di spazi di interlocuzione con gli organismi decisori.
Già avevamo denunciato in più occasioni atteggiamenti del Governo autoreferenziali, negazione del confronto con le rappresentanze sociali: a tale mentalità si accodano alcune forze di opposizione (che ancora fanno combaciare pubblico con statale), proprio quelle che si richiamano ad un “popolo” che dimostrano di non conoscere pur cavalcandone spesso le pulsioni più basse. Sfugge ai più il senso e la portata del principio di sussidiarietà che nasce con la Dottrina sociale della Chiesa ma che è solennemente sancito anche dall’art. 118 della Costituzione: Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
Per quanto riguarda il testo della delega, così come licenziato delle commissioni, ci sono certo punti positivi quali la modifica del codice civile con una definizione complessiva di cosa sia il terzo settore, approcciandosi ad esso non solo per gli aspetti fiscali ma anche nella dimensione civilistica, prevedendo la personalità giuridica degli enti. Bene anche il Servizio civile universale, opportunità più stabile e preziosa per molti giovani, ed il completamento della riforma del 5x1000 per il quale chiediamo il totale rispetto della volontà dei cittadini, evitando forzature o limitazioni sulle forme di accreditamento che lo impedissero. Premesso che questa non può essere la riforma del welfare (a cui il terzo settore dovrà sempre più dare un contributo sia progettuale che realizzativo), pare interessante la previsione di più partecipazione alla programmazione di politiche socio-assistenziali, culturali, paesaggistiche, ambientali anche se non si capisce perché limitata all’ambito locale. Buona anche la chiara distinzione prevista tra operatori dipendenti e volontari riconoscendo a questi uno specifico status e relative tutele. Molto importante ed apprezzabile la previsione di una semplificazione della normativa vigente (come si diceva frammentata, piena di interpretazioni e sentenze di corti varie, spesso contraddittorie), con la redazione di un apposito Codice che garantisca coerenza giuridica logica e sistematica.
Il MCL sostiene da tempo una diffusa semplificazione legislativa, in particolare per il lavoro ma non solo, per stroncare una burocrazia asfissiante e costosissima: poche norme chiare, praticabili, esigibili anche per il terzo settore. E’ indubbio che uno dei punti che hanno suscitato più discussione è la revisione della disciplina sull’impresa sociale. Con questo si vorrebbe portare un contributo al superamento di quella barriera ideologica che vede la ricerca del profitto indipendentemente dalla conseguenza che questo comporta in ambito ambientale, sociale o etico, collocando più risorse a servizio del bene comune e della crescita complessiva della società e mettendo in grado gli enti con mentalità sostanzialmente “non profit” di offrire un contributo innovativo anche attraverso l’esercizio di impresa. Ciò che ci sentiamo di raccomandare è che i decreti che verranno emessi impediscano con decisione coperture strumentali di operazioni di puro mercato sotto il trucco dell’impresa sociale per inserirsi in un ambito di attività che potrebbe rivelarsi ampio, distinguendo bene “il grano dalla pula”.
Chiediamo infine che vengano ben delineate e salvaguardate nella loro specificità le attività che le associazioni di promozione sociale, tra cui il MCL, svolgono con la diffusione capillare sul territorio anche attraverso punti aggregativi e di riferimento per le persone, le famiglie e le comunità dall’estremo nord fino alle isole più lontane. Un servizio ed un impegno che non possono certo essere considerati commerciali.
Noè Ghidoni