Rimettersi al centro, questa la sfida per i cattolici che non abbiano abbandonato l'ambizione di pensare e agire politicamente in modo originale. Mettersi al centro, e non dei campi che altri hanno disegnato per loro. Il più clamoroso “finti snodi” è quello artificiosamente posto, con la chiassosa prima pagina dell'8 luglio, da Repubblica: “I cattolici a un bivio, o il Papa o Salvini”. Una confusione di piani assai strumentale. E lo si può dire senza aver in particolare simpatia il leader leghista; certo provando a tener presente nella sua ben diversa complessità il magistero del vescovo di Roma.
Più centrato (chiedendo venia per il bisticcio di parole) quanto ha recentemente scritto il presidente del Mcl Carlo Costalli in un suo intervento su Formiche: “Il panorama che ci circonda è da tempo sotto gli occhi di tutti: siamo un Paese con un imponente debito pubblico (di cui nessuno parla seriamente) che frena ogni tentativo di riforme, con un governo bloccato da continue liti interne e concentrato solo sul tema dell’immigrazione, e viviamo in una diffusa e crescente aria generale di sfiducia e di rancore. Manca il coraggio di ricominciare da zero (o quasi) dando voce a quell’Italia che non vota (o vota controvoglia). Un’Italia storicamente di centro, che sogna un Paese europeo ma non inginocchiato a Bruxelles o a Berlino, che vuole vivere in una democrazia liberale attenta all’economia sociale di mercato, in grado di fare qualcosa di più, e meglio, dei deludenti ‘zero virgola’ nella crescita del Pil. Un’Italia con il coraggio di navigare in mare aperto”. Mettersi al centro infatti vuol dire, per chi è sostenuto dal realismo cristiano, non avere paura di andare verso orizzonti inesplorati, retti dalla consapevolezza che “il tempo è più importante dello spazio” (per citare il Papa, quello vero e non quello di Repubblica). Non si tratta, insomma, pur senza cedere al non meno pernicioso illusorio fascino dell'utopia, di non giocare al ribasso. I neocentrismi che abbiamo visto all'opera nel piccolo cabotaggio, dentro e fuori i principali schieramenti, sono tutti “morti di tattica”. Parlando a stretto raggio, come si sta ancora facendo nei ristretti ambiti settari degli autoproclamati rappresentanti (e anche qui siamo allo “zero virgola”) del cattolicesimo politico.
Aprire un campo nuovo, con la pazienza del seminatore e una profondità monastica, osando mettersi all'opposizione dello stato di cose. Non tanto a questo o quel protagonista, ma alla stolta trasversale declinazione della politica cui ci tocca assistere. Per richiamare ancora le parole di Costalli, si tratta di elaborare “una piattaforma politica per tutti coloro che hanno idee liberali, popolari, cattoliche e riformiste: ma è assolutamente necessario sgombrare il cosiddetto ‘campo moderato’ dalle macerie degli ultimi anni, compresi i leader senza carisma, senza visione, senza più seguito e, spesso, imbarazzanti. All’Italia non serve un altro partitino di centro da prefisso telefonico”. Attrezzarsi ai tempi nuovi che sarà necessario porre in essere dopo la tutt'altro che improbabile pacificazione tecnica (quell'aspettando Draghi solo apparentemente sibillino con cui si chiude il più volte citato articolo costalliano).
Rimettersi al centro, ingaggiando la battaglia con pensieri e forme nuove, quindi, è l'unico modo per iniziare a edificare adesso il domani, partendo dal disegnare il campo.
Marco Margrita