Il Consiglio Europeo di Bruxelles, il secondo per lunghezza dopo quello che nel 2000 portò al Trattato di Nizza, alla fine ha messo sul tavolo un accordo molto soddisfacente, soprattutto alla luce delle sue premesse che volevano registrare una forte divisione tra i Paesi “frugali” e quelli più inclini a “sperperare”. La lotta, quindi, era tra le formiche e le cicale, e questo è il vero motivo che dal 2008 in poi sta dividendo l’UE.
Chiaramente la cicala più grande è quella che canta meglio di tutte, e il nostro Paese, tra verità e pregiudizi, non riesce a superare questo scoglio. Ma le responsabilità sono soprattutto nostre! Il nostro debito pubblico - che cresce di ora in ora -, la nostra tendenza a privilegiare momenti “secondari” - il bonus vacanze e monopattini rientrano in questa linea -, ci fanno assimilare sempre più alla cicala e così ci vedono in molti Paesi del Nord. Poi dobbiamo evidenziare la nostra storica ritrosia verso le riforme di cui abbiamo bisogno ma che non sappiamo fare, o non vogliamo fare.
Di ricatto in ricatto il vertice ha saputo, alla fine, trovare la forza per confermare i 750 miliardi di euro ipotizzati ed il progetto Next Generation Eu potrà partire con fondi dati in prestito e con altri a fondo perduto. Il nostro Paese sarà il più grande beneficiario: chissà se saremo capaci di gestire così tanto denaro!
I Paesi “frugali” hanno ceduto e la cancelliera Angela Merkel, alla fine della sua lunga carriera politica, ha raggiunto l’obiettivo più importante: passerà alla storia come grande europeista e sicuramente la Germania continuerà ad avere quel ruolo centrale che la storia dell’integrazione europea le ha assegnato.
Insieme ai frugali e alle cicale nel vertice di Bruxelles hanno avuto un ruolo importante anche i Paesi di Visegrad. Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca hanno saputo confermare la loro aggregazione, hanno scongiurato le varie condizionalità e, nel confermarsi quali “Paesi sovranisti”, hanno ben evidenziato come il tema “dell’Europa solidale e liberale” debba essere al più presto riletto alla luce delle nuove sfide che dobbiamo affrontare.
Se la Merkel alla fine ha saputo far vincere il suo pragmatismo, figlio della grande convenienza dell’industria tedesca, con lei ha vinto anche la speranza di una “buona Europa” capace di cambiare e proseguire nella sua solidità.
Diverso è il ragionamento sul nostro Paese che, indiscutibilmente, raccoglie un netto successo: il presidente Conte ha saputo evitare onde pericolose ed ha ben gestito la nostra politica.
Ma ora saremo in grado di gestire tutti questi soldi che arriveranno (anche se non subito)? Quali saranno le nostre priorità? Cosa sarà del MES? Come riusciremo a diventare formica? Come ci si attrezzerà per far rispettare le regole? Quanto sapremo imparare dai Paesi del Nord? Come la nostra politica si approccerà per gestire la rinascita del Paese? Si affiderà ancora tutto ai tecnici o la politica saprà tornare ad essere centrale ed il parlamento ritornerà a decidere?
Molte, troppe, domande attendono risposta con urgenza, ma soprattutto con chiarezza e con la ferma capacità dì intercettare i veri bisogni del nostro popolo. Lavoro, scuola, sanità e Terzo Settore sono, in primis, le urgenze di cui occuparci.
A Bruxelles non c’era alternativa! Tutti gli attori sapevano bene che nessuno, alla fine della storia, voleva passare come il commissario liquidatore di un processo che ha ancora in sé ben valide tutte le ragioni del suo essere.
Piergiorgio Sciacqua