È probabilmente esagerato sostenere, come certi osservatori non sempre disinteressatamente hanno fatto, che il voto del 4 marzo ha fondato nelle urne la Terza Repubblica.
Vero, però, che il quadro politico è stato significativamente sovvertito.
Tra i temi, sicuramente, emerge la "questione cattolica". Nel senso che l'identità (ammesso che ne esista con chiarezza una, in tempi di confusione dottrinale) non fa più la differenza: i cattolici sembrano non votare in quanto tali.
Le proposte orientate al "cattolicesimo politico", le identitarie quanto le moderate, tutto l'insieme delle forze che hanno evocato o rivendicato una connessione con l'esperienza del popolarismo, ovunque collocate, in coalizione o indipendenti, hanno registrato un brusco calo di consensi. Certificando, almeno in quanto a numeri e in questa fase, una sostanziale irrilevanza. Più di un osservatore ha giustamente rilevato, dopo la stagione dell'unità e quella del condizionamento ruiniano del bipolarismo, deflagrata la non felice parentesi di tentativi neocentristi, come si sia giunti al punto più basso.
I cattolici sembrano essersi integrati e appiattiti, senza originalità di giudizio (prima ancora di presenza). Possiamo davvero rassegnarci, in paradossale contemporaneità con un pontificato intensamente politico, che non si riesca a generare più un pensiero e un'azione originale? Siamo di fronte a una separazione tra il cattolico e il cittadino? Domande che ci si deve necessariamente porre, specie in questo che è stato ed è ambito di riflessione su linee (e contenuti) di una nuova declinazione del popolarismo.
Secondo il filosofo Massimo Cacciari, il cristiano non potrà mai essere un impolitico. La fede stessa nell’Incarnazione costringe a tale verità. È indispensabile, quindi, riaccogliere la sfida di pensare originalmente la politica. Oltre i tatticismi volti a "occupare spazi", bensì implicandosi tenacemente nelle circostanze per "avviare processi". Partendo dalla serena e liberante accettazione che le attuali formule di "parola e presenza pubblica" risultano superate. Viste dagli elettori come incapaci di disegnare una "distanza critica" dall'esistente.
Il patrimonio rappresentato dalla Dottrina Sociale, che si fonda su un'antropologia chiara ed è autenticamente volta al "bene comune", non può essere disperso. Da essa è scaturita una storia d'impegno responsabile e un dinamismo sociale di opere, oltre che un autentico europeismo e una propensione a sviluppare comunità. Tutto questo deve ritrovare una dimensione politica. Senza paura di giocarla in modo extraparlamentare.
Si è toccato il punto più basso, tocca archiviare ogni nostalgia. Non potendo, per natura, essere impolitici, i cattolici italiani debbono uscire e affrontare il deserto. Il quadro così confuso potrebbe presto determinare opportunità che sarebbe immorale non cogliere.
Marco Margrita