Gli ultimi avvenimenti hanno messo a dura prova la rappresentanza politica. La richiesta di Salvini di andare al voto, appellandosi direttamente alla “piazza”, ha connotato un leaderismo che riduce l’elezione ad un rapporto e gradimento sulla persona, delegando al solo potere personale l’esigenza partecipativa. Anche un’idea di “sovranità popolare”, come intervento diretto sulla cosa pubblica, limita fortemente il ruolo di quegli strumenti di partecipazione mediante rappresentanza che costituiscono l’essenza delle assemblee elettive.
La costituzione del Conte bis, poi, ha prodotto una torsione della coalizione di governo, evidenziando uno scambio di ruoli che offusca, in parte, il principale elemento di superiorità della democrazia rappresentativa rispetto agli altri regimi: quello di rendere chiaro e praticabile sia l’esercizio del potere che quello dell’opposizione. L’interscambiabilità dei ruoli nuoce alla chiarezza del rapporto elettorale e finisce per limitarlo; il libero mandato non cancella gli interessi, i programmi e gli obbiettivi per i quali il parlamentare è stato eletto.
Il ricorso alla piattaforma Rousseau, ripetuto per le principali decisioni dei 5 Stelle, ha fatto emergere, ancor più che per il passato, l’improprio ruolo di un’entità assolutamente privata e priva di veri controlli alla quale viene assegnata la decisione circa la fattibilità degli accordi politici a livello parlamentare. E, se è pur vero che ogni forza politica ha titolo per osservare il proprio livello decisionale, è necessario che esso non solo abbia un carattere democratico, ma anche realmente partecipativo e che contempli evidenti contenuti di certezza procedurale. La “democrazia elettronica” tende a svuotare di contenuti e di attribuzioni la democrazia rappresentativa, riducendo la partecipazione a fatto individuale, privo di valore comunitario.
La scissione di Renzi, avvenuta con un tempismo che ha modificato la composizione dell’appena costituita coalizione, rappresenta un ulteriore elemento che aggiunge opacità a questa fase politica. Le scissioni sono ovviamente legittime, ma la chiarezza della democrazia e delle sue articolazioni partitiche richiedono che le ragioni della separazione siano comprensibili e che emergano da un confronto di idee e di programmi. Non tutte le scissioni sono uguali. A sinistra se ne sono verificate molte, a cominciare da Livorno 1921, ma tutte sono avvenute a seguito di una diversità, fino alla rottura di idee e di strategia politica che si è affermata con la partecipazione degli iscritti e non come un fatto calato dall’alto. Anche questo passaggio non aiuta a impedire quell’eclissi della rappresentanza che costituisce il principale problema istituzionale.
Queste vicende non consentono di guardare con ottimismo al confronto politico di oggi, focalizzato prevalentemente sui rapporti tra i soggetti politici. E’ un dibattito autoreferenziale che emargina le questioni programmatiche, ciò che più interessa gli italiani.
Il MCL, a fronte di tutto questo, continua a proporre negli eventi formativi, come in quello di Senigallia, l’antidoto alle distorsioni della rappresentanza, e quest’anno, in particolare, con riferimento al populismo e alla tecnocrazia. E’ un tema che coglie una condizione di molte società occidentali, compresa l’Italia, afflitte dalla contrapposizione tra forme di populismo identitario e sovranista e tendenze oligarchiche e tecnocratiche. La relazione del Presidente Costalli e gli autorevoli interventi dei professori Taccolini e Maddalena, la tavola rotonda sul bene comune con Paolo Cesana della Fondazione Clerici ed Emanuele Massagli, docente di Didattica, hanno riproposto il ruolo essenziale dei corpi intermedi.
Il seminario ne ha richiamato la decisiva importanza come elemento costitutivo della democrazia partecipativa a fronte di una tendenza diffusa da mass media e poteri interessati ad esaltare una “sovranità dell’opinione pubblica” che, di fatto, consacra oggi il potere delle èlite autoreferenziali. L’argine necessario appare, come sempre, la Dottrina Sociale della Chiesa, dalla cui ispirazione deriva il popolarismo, con la sua visione europeista, il temperamento del liberismo nell’economia sociale di mercato e l’opposizione alle eresie populiste e tecnocratiche. Il Seminario, nelle conclusioni di Costalli, ha fatto emergere che è giunto il tempo di andare oltre le pur necessarie analisi e di compiere le scelte per ricostruire la buona politica, uscire dalla crisi della rappresentanza che mina la democrazia, contribuendo ad avviare in Italia, partendo dalla realtà, un percorso e una proposta politicamente rilevante per il popolarismo europeo.
Pietro Giubilo